Nel
1266 Carlo I conquista il regno di Sicilia e Napoli diventa
centro di ricezione e fusione di tendenze e prodotti artistici
nonché chiaramente di artisti. Si assiste pertanto al fenomeno
dell’importazione di artisti: Montano d’Arezzo nel Duomo e
in S. Lorenzo Maggiore, Pietro Cavallini in Duomo e in S.
Domenico Maggiore, Giotto in S. Chiara e nella Cappella
Palatina, Tino da Camaino in S. Maria Donnaregina.
I
re angioini furono soprattutto fondatori di chiese e conventi, e
ciò contribuì a cambiare sostanzialmente il volto della città,
stimolando al tempo stesso la rinascita artistica e culturale.
L’edificazione di queste fabbriche religiose fu favorita da un
lato dal consolidamento delle attività economiche nella città,
dall’altro dai privilegi che la corte francese concesse agli
ordini religiosi, e in particolare a quelli mendicanti.
La
chiesa e il convento di S. Lorenzo Maggiore furono completamente
rifatti al tempo di Carlo I, tra il 1270 e il 1275, nel luogo in
cui si erano avute precedentemente prima una basilica
paleocristiana e successivamente una chiesa appartenuta al
Capitolo aversano e donata da questo nel 1224 ai Francescani.
In
S. Lorenzo nel braccio destro, sui muri laterali di una
cappella, vi sono resti di affreschi trecenteschi che
rappresentano una Natività e una Dormitio
Virginis e che si rifanno alla pittura giottesca e
cavalliniana, già riscontrata in analoghi affreschi realizzati
probabilmente dallo stesso pittore nella cappella Minutolo nel
Duomo.
Gli
affreschi di S. Lorenzo facevano già parte di un ciclo con
storie mariane in gran parte distrutto per la successiva
edificazione di altari e monumenti funerari. Ne fu autore verso
il 1300 Montano d’Arezzo, interessante pittore attivo nel
Duomo di Napoli ed ancora prima a Roma e già in grado di
esprimere riflessi della più antica attività di Giotto e del
romano Pietro Cavallini. È significativo che questo primo
avvicinamento alla tradizione pittorica umbro-toscana coincida,
sia cronologicamente che nella topografia della chiesa, con la
fase dell’emancipazione dell’edificio dalle esperienze
architettoniche d’Oltralpe. S. Lorenzo mostra infatti assai
bene il passaggio dall’architettura di Carlo I, aulica e
nettamente francese, a quella di Carlo II, in stretto rapporto
con opere già compiute altrove dagli ordini mendicanti,
manifestando la complessità della produzione del secolo
angioino, in cui convergono apporti franco-meridionali,
nord-iberici e della fase romanica e sveva nel Mezzogiorno
d’Italia.
In
questi affreschi la Vergine è sdraiata con accanto il Bambino
Gesù in fasce, secondo un motivo iconografico antico ma che
tuttavia non ha avuto grande diffusione e che fu soppiantato
dalle raffigurazioni, duecentesche e trecentesche, della Madonna
in trono. L’affresco si rivela ancora arcaico nella
costruzione dello spazio, nella mancanza di prospettiva, di
profondità e nella piattezza di talune figure ma già si
possono cogliere in esso i caratteri dell’innovativa pittura
umbro-toscana.
Montano
d’Arezzo avrebbe dipinto precedentemente la cappella Minutolo
nel Duomo di Napoli. Questa fu voluta da Filippo Minutolo,
consigliere di Carlo I e suo ambasciatore a Firenze dal 1273, e
dal 1283 arcivescovo di Napoli, e gli affreschi in essa presenti
più di ogni altra opera documentano l’avvenuta apertura a
Napoli ai fatti assisiati.
Tali
affreschi spettano dunque ad un maestro formatosi ad Assisi
verso il 1280, quando la decorazione pittorica della basilica
superiore passava dalle «Storie di san Pietro» nel transetto
alle prime «Storie di Cristo» nella seconda campata, e a
fianco di Cimabue si faceva strada il primo dei suoi allievi
moderni, il cosiddetto «Maestro della Cattura». Legato
soprattutto a questi, il pittore della cappella Minutolo ovvero
Montano d’Arezzo risulta dai documenti in stretti rapporti con
la più stretta cerchia familiare di Carlo II e lo fanno
apparire il maestro più importante che lavorasse a Napoli fra
gli ultimi decenni del Duecento e il primo del Trecento.
Negli
affreschi mariani del transetto di S. Lorenzo poi, la cultura
del maestro mostra d’essersi ampliata in un tempestivo e
impegnato aggiornamento sulle più acute esperienze
proto-giottesche, non senza collusioni con le opere antiche di
Pietro Cavallini, nelle quali proprio quest’ultimo si era
mostrato tributario di Assisi, sia nei riguardi del «Maestro
della Cattura» che del primo Giotto. Tutto questo accadeva ben
prima che Pietro Cavallini scendesse a Napoli, e in autonomia
assoluta dalla cultura cavalliniana specifica; segnando un
momento indipendente e straordinariamente meritorio della storia
artistica del Regno. L’attività di Montano d’Arezzo si
concluse poco dopo il 1311, quando il nuovo re Roberto lo
ammetteva, come più tardi il solo Giotto, tra i suoi «familiari».
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