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Anno 4 - n.1 - Giugno 2004
 

I PERSONAGGI DEL PRESEPE – BENINO

Parte seconda (continuazione dal numero del giugno 2002)

 

All’inizio del percorso presepiale vi è, dunque, la figura di Benino, il pastorello immerso nel sonno. Essa non è posta lì a caso, così come, lo scopriremo volta per volta, nessuna delle altre figure occupa casualmente la sua posizione nel presepe.

Ma qui il sonno non è lo stato fisiologico, nel quale il nostro organismo, in riposo, recupera le forze di cui ha fatto dispendio nel corso del giorno. Qui il sonno indica, per analogia, una condizione dello spirito di estrema sensibilità e tensione; uno stato, diverso da quello della quotidianità, che non è ancora la luce di una coscienza superiore, ma che ad essa prelude.

Quella del “sonno” è dunque un’immagine con la quale si vuole alludere alla sospensione della coscienza quotidiana; secondo l’antico motto “quod superius quod inferius” (ciò che è in alto è come ciò che è in basso), le realtà ineffabili non possono essere dette se non mediante immagini che parlino non all’intelletto soltanto, ma alla totalità della persona. Solo così può essere superata la contraddizione di voler  dire l’ineffabile (che, etimologicamente, è, appunto, l’indicibile).

Nella storia della cultura, molte volte è stato rappresentato questo stato di “sonno” in cui si compie un viaggio eccezionale.

Nell’Eneide di Virgilio il libro VI è consacrato al descensus ad inferos (discesa all’abisso) di Enea; al termine del suo viaggio oltremondano, da cui riceve nuovo vigore e impulso per la sua missione, l’eroe esce dalla porta d’avorio, da cui sogliono uscire i sogni falsi.

Dante, all’inizio del suo poema, dice di non ricordare come entrò nella selva: “tant’era pieno di sonno a quel punto che la verace via abbandonai”; lo smarrimento nella selva è il preludio e anche la condizione necessaria perché Dante dia inizio al viaggio.

Questi sono esempi noti a tutti; forse è meno conosciuto uno straordinario testo del nostro pieno Rinascimento letterario, la Hypnerotomachia Poliphili, il cui titolo significa, letteralmente, la “battaglia d'amore in sogno di Polifilo”.

Polifilo è il il protagonista di una straordinaria avventura dello spirito; il suo nome significa “colui che ama Polia (figura femminile, che è, con tutta probabilità, la “Sapienza”). Mentre si cruccia per il suo amore non corrisposto, si addormenta e inizia a sognare: si vede, similmente a Dante, smarrito in un’oscura e aspra selva, dalla quale solo a fatica riesce ad uscire, stanco ed assetato. Chinatosi a bere sulla riva di un ruscello, si lascia attrarre da un soave canto che ode in lontananza; per seguirlo, si caccia in ben più gravi pericoli; riuscito ancora una volta a sfuggire, spossato, arso dalla sete, si distende a riposare e nuovamente viene colto dal sonno e, nel sogno, riprende a sognare. Nella straordinaria visione che ne consegue, egli rivive tutta la grandezza e il declino dell'Antichità.

 Questo testo umanistico, emblematico ed enigmatico ad un tempo, che nella nostra cultura non ha avuto molta fortuna, pur lavorando, per così dire sotterraneamente e contribuendo a formare un gusto, appartiene alla fine del ‘400. E’, oltre tutto, uno dei libri figurati più belli dell’arte tipografico del grande Aldo Manuzio. Una delle figure che lo impreziosiscono mostra appunto Polifilo che, disteso sotto un albero, dorme. Il paragone con Benino si impone da sé.

 

Italo Sarcone