Il
testo del "Polifilo" porta la data del Calendimaggio del 1467, ma è probabile
che questa si riferisca alla prima idea dell'opera, e non alla
stesura definitiva, la quale fu data alle stampe, nella
tipografia veneziana del grande Aldo Manuzio, nel 1499; il testo
è intervallato da xilografie che dell'opera costituiscono parte
integrante e il motivo maggiore del suo fascino, rappresentando,
oltre tutto, un interessante capitolo della Storia dell'Arte. Le
lettere iniziali dei singoli capitoli rivelano il nome
dell'autore (mediante quel procedimento retorico che costituisce
il cosiddetto “acrostico”): Francesco Colonna, che, a
partire dal Settecento, fu identificato in un frate del convento
domenicano dei Santi Giovanni e Paolo a Venezia; ma questa
identificazione è stata di recente messa in dubbio, anzi
decisamente negata, dallo storico dell'arte Maurizio Calvesi,
che assicura trattarsi invece di quel Francesco Colonna che fu
signore di Palestrina, l'antica Preneste, e discendente di quel
Colonna amico di Francesco Petrarca. In ogni caso, l'autore
mostra di possedere una straordinaria cultura la quale si
estende dalla conoscenza degli antichi monumenti fino alla
botanica ed è espressa in un curioso, ma efficacissimo
linguaggio personale fatto di volgare, di latino e di greco,
spesso di difficile comprensione, ma piacevolissimo, una volta
che si sia superato il primo impatto e se ne sia penetrato il
meccanismo: la lettura dà allora lo stesso diletto che,
sull'altro versante, procurano le opere maccheroniche di Teofilo
Folengo o, ai giorni nostri, il romanzo di Carlo Emilio Gadda, Quer
pasticciaccio brutto de Via Merulana.
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