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Anno 4 - n.1 - Giugno 2004
 

NOTA ALL’ARTICOLO SU BENINO

 

Il testo del "Polifilo" porta la data del Calendimaggio del 1467, ma è probabile che questa si riferisca alla prima idea dell'opera, e non alla stesura definitiva, la quale fu data alle stampe, nella tipografia veneziana del grande Aldo Manuzio, nel 1499; il testo è intervallato da xilografie che dell'opera costituiscono parte integrante e il motivo maggiore del suo fascino, rappresentando, oltre tutto, un interessante capitolo della Storia dell'Arte. Le lettere iniziali dei singoli capitoli rivelano il nome dell'autore (mediante quel procedimento retorico che costituisce il cosiddetto “acrostico”): Francesco Colonna, che, a partire dal Settecento, fu identificato in un frate del convento domenicano dei Santi Giovanni e Paolo a Venezia; ma questa identificazione è stata di recente messa in dubbio, anzi decisamente negata, dallo storico dell'arte Maurizio Calvesi, che assicura trattarsi invece di quel Francesco Colonna che fu signore di Palestrina, l'antica Preneste, e discendente di quel Colonna amico di Francesco Petrarca. In ogni caso, l'autore mostra di possedere una straordinaria cultura la quale si estende dalla conoscenza degli antichi monumenti fino alla botanica ed è espressa in un curioso, ma efficacissimo linguaggio personale fatto di volgare, di latino e di greco, spesso di difficile comprensione, ma piacevolissimo, una volta che si sia superato il primo impatto e se ne sia penetrato il meccanismo: la lettura dà allora lo stesso diletto che, sull'altro versante, procurano le opere maccheroniche di Teofilo Folengo o, ai giorni nostri, il romanzo di Carlo Emilio Gadda, Quer pasticciaccio brutto de Via Merulana.

 

Italo Sarcone