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Anno 5 - n.2 - Febbraio 2005
 
 

 Febbraio: il mese delle purificazioni

CHARON

QUISQUIS ES HOC TE SEPULTUS ROGAT
SUA NE MOVEAS NEU INQUIETES OSSA
UT QUI VIVUS NUMQUAM QUIEVIT
SALTEM QUIESCAT MORTUUS

      

    
Viandante che hai ascoltato fin qui la mia voce, se il tuo vagare dovesse menarti là in quella chiesa dove gli occhi di Fiammetta arsero di desiderio in quelli di Giovanni, non andar via senza prima sostare per poco dinanzi alla tomba di Giacomo Rocco, cara al mio cuore fin dagli anni in cui mi apparecchiavo alla vita.
Per amor mio, non negare a quest'uomo morto ormai da cinque secoli la tua simpatia e se sei credente la pietà di una prece.
Poi, meditabondo, esci pure per la porta secondaria sulla affollata via Tribunali, a pochi passi da Piazza San Gaetano e dalla Chiesa di San Paolo. 
L'antica agorà di Napoli, il centro della vita cittadina.
L'animazione di allora non doveva essere minore di quella di oggi.
Più oltre i Portici Angioini e la Chiesa di Santa Maria del Purgatorio ad Arco. 
E se si scende per la via San Gregorio Armeno, si possono vedere ancora gli artigiani che impastano la creta e lavorano la cartapesta.
In questi luoghi
nescio quo pacto animus antiquus fit.
Non confondete l'Antico con il vecchio.
"Scusi, ha cento lire?"

La voce che suadente risuona ti scuote dal sogno.
Dinanzi a te una ragazza carina: un sorriso un pochino beffardo, anche se non proprio sfrontato, sulle labbra dipinte.
E poiché tu hai la faccia di chi non si è ancora svegliato del tutto, ti ripete con grazia:
"Le ha cento lire?"
Interrotto bruscamente nel tuo cogitare, ti viene voglia di rispondere "Sì" seccamente e tirare diritto per la tua strada.
E poi questi di oggi, che non conoscono neanche le regole tradizionali con cui una richiesta va rivolta. 

Ma no, tiri fuori di tasca la moneta e gliela passi, con un certo disagio. 
Il fatto è che per te opporre un rifiuto è stato sempre più umiliante che doverlo subire.
Lei ti sorride un grazie veloce e ti si invola allo sguardo. 

La
captatio benevolentiae: questi ragazzi non sanno che farsene.
La loro stessa gioventù e la loro bellezza gli danno diritto immediato alla vostra simpatia.

Non così il vecchio cencioso dalla figura sgraziata.
O la zingara scalza e maleodorante.
Questi antichi generi di questuanti sanno di dover applicare delle regole ben precise per rendere, se non accetta, almeno tollerabile la propria presenza.
E perciò vi implorano secondo formule consacrate da una più che millenaria tradizione.
Per esempio, la zingara vi dirà: "quanto site bellillo" e vi augurerà cent'anni di vita e cose del genere.
Ma il mendicante napoletano possiede una parola potente capace di toccare le più celate corde delle vostre emozioni e fare fremere la vostra sensibilità fino in fondo ai precordi.

Arrefrisc'all'anima e' tutt'e' muorte vuoste

Mundus patet, dicevano i Romani, nei giorni in cui le anime dei trapassati tornavano a visitare le regioni dei vivi.

Ma le anime buone dei trapassati i Napoletani le hanno sempre avute tra loro.
I mendicanti sono le povere anime purganti che si aggirano per le nostre strade, le loro voci hanno la risonanza delle profondità d'Averno.
E poi, sotto ogni tabernacolo, a qualunque santo sia dedicato, nelle strade della nostra città, non manca mai il rosso riquadro del Purgatorio, dove, tra le fiamme come lingue attorte, quell'umanità dolente invoca dai passanti l'elemosina di una prece.

Il Vecchio
Il Giovane
La Donna

A questa tradizionale triade si aggiunge il prete dal nero berretto quadrato a tre pizzi.

La triade che ritroviamo in altre rappresentazioni simboliche.
Nel Mazzo dei Tarocchi: la lama Numero XX: il Giudizio

Oppure nel Presepe, in fondo alla grotta.

San Giuseppe
Il Bambino
La Madonna

Potremmo chiamarli anche in altro modo?
Potremmo chiamarli come nell'antico mito?

Laio
Edipo
Giocasta

Il vecchio ripropone se stesso nel figlio, come l'anno vecchio cede il posto all'anno nuovo.

Ella, la Donna, è eternamente la stessa.

Vergine e Madre
Sposa e Figlia
Sorella e Compagna

Nel circolo dell'eterno ritorno

(continua)

Nota
L'epigrafe si trova nel corridoio che costituisce l'ingresso secondario della Chiesa di San Lorenzo Maggiore, la chiesa celebre, oltre che per il suo valore artistico e documentario, per essere stata il luogo dell'incontro di Giovanni Boccaccio con Maria d'Aquino, che il grande scrittore celò sotto il nome di Fiammetta, come altrove abbiamo ricordato. Ecco la traduzione dell'epigrafe, davanti alla quale, spesso tra i quindici e i diciotto anni, mi soffermai a meditare:
"Chiunque tu sia, chi è qui sepolto ti chiede questo: non muovere, non disturbare le sue ossa, perché chi non ebbe mai requie da vivo, l'abbia almeno da morto".
Della Chiesa di San Paolo Maggiore, sorta sull'antico tempio dei Dioscuri, e della piazza San Gaetano, l'antica agorà della greca Neapolis, parlammo già nel primo numero della nostra rivista, nel dicembre 2000.
La chiesa di Santa Maria del Purgatorio ad Arco, di fronte ai Portici Angioini, è celebre come uno dei luoghi deputati per il culto delle anime purganti, molto sentito a Napoli.
Nescio quo pacto animus antiquus fit: è una frase dello storico latino Tito Livio; "non so come, l'anima si fa antica", cioè diventa contemporanea degli avvenimenti e dei monumenti considerati. Questa stessa frase fu usata da Benedetto Croce, in un passo del suo libro Storie e leggende napoletane, ad esprimere appunto questo sentimento con il quale il visitatore del centro storico di Napoli si immerge nel passato.
La
captatio benevolentiae, letteralmente "la cattura della benevolenza (altrui), è l'uso di tutti quegli espedienti retorici con i quali chi desidera qualcosa cerca di procurarsi il favore di chi può concedere il beneficio.
"Quanto site bellillo": napoletano, "quanto siete carino".
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Arrefrisc'all'anima e' tutt'e' muorte vuoste" è una frase tipica dei mendicanti napoletani, con i quali si invoca il refrigerio per le anime dei parenti defunti di chi fa l'elemosina; è una frase bellissima, che purtroppo va scomparendo; letteralmente, "refrigerio alle anime di tutti i vostri morti".
Mundus patet: "la terra si apre"; espressione della terminologia sacrale romana, con la quale si indicavano i periodi in cui le anime dei defunti lasciavano le regioni sotterranee e tornavano sulla terra.