La dedica del numero di Aprile a Giovanni Paolo II non è solo un omaggio, in sintonia con il sentire di buona parte del mondo, alla memoria del grande pontefice. Vuole ammettere, dal momento che non può degnamente ripagare, un debito di riconoscenza, poiché siamo convinti che ad ognuno di noi egli abbia insegnato qualcosa d'importante e di ormai irrinunciabile per il cammino dell'umanità.
Pure nella consapevolezza che nulla possiamo aggiungere di nuovo o di veramente significativo a quanto di lui, in questi ultimi giorni, si è detto e si è scritto, non ci è consentito sottrarci all'imperativo morale di ricordarlo nell'aprire le nostre pagine.
Noi che da anni ormai ci occupiamo del presepe e che non ci stanchiamo di ripetere che esso commemora la venuta del Verbo, nell'umana forma di un Bimbo, non senza commozione ricordiamo il suo grido in difesa dell'infanzia: "Mai più bambini di strada!", fu la richiesta che il mondo non può più eludere.
Lo ricordiamo nello sdegno rovente contro la cultura della morte, quando il suo dito levato ad indicare il cielo annunziava che il monito "non uccidere!" non è precetto puramente umano e che di ogni delitto si dovrà rendere conto: "Verrà un giorno il giudizio di Dio!".
Lo ricordiamo nell'accoratezza con cui, nel rifiuto di avallare qualunque ideologia intesa ad accollare a Dio i crimini contro l'uomo, scongiurava i capi delle Nazioni di non intraprendere la via senza ritorno e senza speranza della violenza: "questi giovani che non sanno che cosa è la guerra!" Ahi! ché questi "giovani" sono i potenti della terra, che hanno nelle mani il destino dei popoli!.
La sua parola, tesa a risvegliare le coscienze assopite, a gettare un ponte fra le genti, al di là delle fedi, delle culture e delle razze, per fare fronte ai più gravi problemi dell'umanità, superando i vieti concetti di "laico" e di "confessionale", ha dimostrato con la forza dell'evidenza l'errore di chi disse che la religione è l'oppio dei popoli.
Ma soprattutto lo abbiamo ammirato nel coraggio con cui, senza ritrarsi dalla vista del mondo, ha sopportato il declinare del vigore fisico, accettandolo nella sua necessarietà, pure senza concedergli nulla. E in molti la fermezza, la responsabilità, fin quasi alla nobile caparbietà, con cui ha perseguito fino all'ultimo il compito affidatogli, nella difesa della vita, dal concepimento alla morte, ha fatto sorgere una salutare vergogna: di fronte al vecchio pontefice sofferente, ma vigile nell'intelletto e fermo nel suo volere, quanto rimorso per il tempo sprecato in futilità, per l'impazienza di fronte al dolore, per l'incapacità di accettare serenamente la durezza del lavoro, per la facilità con cui si allontanano i vecchi e gli infermi dal focolare domestico.
Per questo, e per avere dato voce a tutti quelli che non l'
hanno, pensiamo che tutti sentano l'obbligo di dirgli, come noi gli diciamo:
"Grazie, Santo Padre".
LA REDAZIONE
Otto aprile 2005
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