DIALOGO CON I LETTORI
Inchiesta sul presepe
Seconda conversazione con Italo Sarcone
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Perché la chiesa ha accettato che nel presepe fossero inseriti
dei particolari tratti dai Vangeli apocrifi?
“Non l'ha propriamente accettato, quanto, piuttosto, ne ha preso
atto, con quello stesso processo di sincretismo per il quale
leggende pagane sono state rivisitate in chiave cristiana. In
realtà ancora oggi alcuni esponenti del clero guardano
dubbiosamente alla presenza di personaggi non “canonici” sul
presepe.
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C'è un motivo per cui alcune date sono tradizionalmente dedicate
alla rimozione del presepe?
"Le date tradizionali corrispondono alle feste di alcuni santi
"vecchi", i Re Magi (6 gennaio), S. Antonio Abate (17 gennaio),
S. Biagio (3 febbraio); anche per quanto riguarda il 2 febbraio,
festa della Purificazione, possiamo notare, nel racconto
evangelico della presentazione di Gesú al Tempio, la presenza
del santo vecchio Simeone. Il motivo di questo fatto sta proprio
in quel processo di sincretismo di cui parlavamo prima; il
presepe, nel raccontare l’evento della nascita di Gesú, riprende
anche il motivo tradizionale del ritmo circolare, in cui le
stagioni si succedono e l'anno vecchio cede di fronte all'anno
nuovo. In altre parole si riconferma quello che abbiamo tante
volte detto, che il presepe è un fatto cristiano il quale ha
inglobato e fuso in sé elementi provenienti dalle piú diverse
parti. E forse il suo fascino consiste appunto in questa
compresenza che garantisce, in modo significativo, la sua
universalità".
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Ernesto De Martino parla del meridione come di "terra del
rimorso", cioè di "terra del cattivo passato che torna e opprime
col suo rigurgito" e in varie sue opere dimostra che le pratiche
rituali servono a scongiurare le ansie di un'esistenza precaria;
crede che il presepe potrebbe in qualche modo rientrare
nell'ambito di questi rituali?
"Il richiamo a De Martino è quanto mai pertinente. Questo
autore, che ha il merito di aver fatto l'antropologo "a casa
sua", e non presso i cosiddetti “selvaggi”, e di avere
dimostrato che anche il mondo contadino ha una sua “storia”
(contro chi ne teorizzava la astoricità), vedeva in certi
rituali il superamento di momenti di crisi nei quali si corre il
rischio della perdita di sé: la festività ha la funzione di
cooperare al superamento del momento della crisi, ritualizzando
il dolore, ciò che significa limitarne le manifestazioni e
circoscriverle in periodi ben precisi; per esempio il 2
novembre, i riti funebri del trigesimo, dell'anniversario, ecc…
servono a ripetere e a superare il lutto.
La danza dei tarantati serve a rivivere l’evento in cui il
“malato” ha subito il primo morso (simbolico) del ragno e a
scongiurarne gli effetti; tra l'uno e l'altro di questi momenti
rituali, in cui è permesso abbandonarsi al dolore, alla
frenesia, al “rimorso”, si stende il cosiddetto “tempo salvato”,
cioè recuperato alla vita operosa della collettività. Poiché
all’allestimento del presepe è sottesa la paura per il rischio,
che il mondo intero corre, di una vittoria delle Tenebre sulla
Luce, anche questa pratica affascinante costituisce un vero e
proprio rituale salvifico. Abbiamo spesso spiegato che il
presepe non coinvolge l’intera famiglia solo nella fase
dell’allestimento, ma diventa, per tutto il periodo natalizio,
il centro di riti che tengono unito il gruppo familiare: deporre
il Bimbo nella mangiatoia la notte di natale, fare avvicinare un
po’ alla volta i Re Magi alla grotta della Natività, farli
smontare da cavallo il giorno dell’Epifania perché presentino i
doni al Bimbo Divino, sono momenti di aggregazione e commozione.
Anche lo smantellamento risponde a questi principi. Una volta,
c’era anche la tradizione di togliere dalla grotta i tre
personaggi principali, il Bambino, la Madonna e San Giuseppe, la
sera dell’Epifania, e al loro posto porre le figure delle Anime
Purganti. In questo caso il presepe restava in casa fino al 2
febbraio.
Tra lo smantellamento di un presepe e l'approntamento di uno
nuovo, eventi che avvengono nel corso dello stesso anno, al
principio e alla fine di esso, si stende il tempo salvato, come
l’abbiamo definito in omaggio a Ernesto De Martino."
- Che senso
può avere oggi, in una società ormai dimentica delle proprie
radici contadine, accendere il fuoco nelle notti di S. Antonio o
S. Giovanni?
Si tratta anche qui di rituali per stornare le angosce?
"In realtà i fuochi di S. Antonio rinviano sia al nuovo vigore
che il Sole acquista, dopo avere corso il rischio
dell’estinzione, dall’equinozio di autunno al solstizio
d’inverno, sia al rimedio contro l' herpes zoster, non a caso
chiamato "fuoco di S. Antonio". Analogamente, il fuoco di S.
Giovanni è acceso in prossimità del solstizio d'estate, quando,
seppur impercettibilmente, le giornate cominciano a diventare
piú corte. È chiaro che nella nostra società industrializzata,
grazie anche alla corrente elettrica (della quale non ci
sogniamo neanche di mettere in dubbio l'utilità), l'angoscia per
il
"venir meno"del Sole non esiste piú. Credo tuttavia che
mantenere in vita questi rituali può, comunque, avere il
significato di ricordare un modo di vivere piú in sintonia con
la natura, forse piú giusto, e di non recidere le proprie
radici. Un modo per non essere “sradicati”, insomma."
-
D. Buzzati nel suo racconto "tecnica del presepio" sosteneva,
provocatoriamente, che costruire il presepe "non è impresa per
la mamma, questa, poiché richiede capacità tecnica,
organizzativa, ingegnosità e slancio di fantasia, doti
precipuamente maschili".
Condivide l'affermazione?
"Devo confessare un certo disappunto, poiché, fra tutto quello
che ho letto di Buzzati, che è uno dei miei scrittori
prediletti, mi è sfuggito proprio questo racconto. Tuttavia
condivido la sua affermazione, ma non perché io neghi alle donne
tutte quelle qualità che giustamente Buzzati ritiene necessarie
per l’impresa: dai tempi della mia gioventú ad oggi, credo che
le donne abbiano davvero dimostrato di possederle in tutti i
campi dell’umana attività. Condivido l’affermazione solo perché
non mi è mai capitato di vedere una donna costruire il presepe.
Mi sembra anzi di avere notato nelle donne l’atteggiamento che
Eduardo De Filippo attribuisce a Concetta, in Natale in casa
Cupiello: la donna è un po’ infastidita, contrariata, dal
disordine che in casa si crea per le operazioni di allestimento
del presepe. Anche quando collabora, lo fa con quel tanto di
condiscendenza che si userebbe con i bambini capricciosi. Ho
l’impressione, cioè, che le nostre donne si adattino a tollerare
questa nostra mania, ritenendola, tutto sommato, innocua: come
se pensassero: in fondo c’è di peggio e le cervella non devono
soffrire (come si dice a Napoli). Posso sbagliarmi e
l’impressione potrebbe essere dovuta alla mia limitata
esperienza. Mi piacerebbe conoscere il parere delle lettrici".
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È la semplicità di un tempo che trasforma un presepe povero e
filologicamente inesatto a renderlo un piccolo capolavoro, vivo.
È d'accordo con questa affermazione di Buzzati?
"Preferisco i presepi filologicamente esatti, cioè conformi alla
tradizione, nella quale si possono tuttavia inserire i propri
gusti, i propri sentimenti, le proprie personali esperienze."
- Non è contraddittorio festeggiare il Natale per chi appoggia
la guerra?
"Credo che, nel caso della guerra, occorra distinguere, poiché
essa non può essere rifiutata a priori, dal momento che fa parte
della storia umana. Tuttavia, oggi abbiamo una consapevolezza (e
penso che ormai non ci sia nessuno che, in piena onestà
intellettuale, non abbia questa consapevolezza): cioè che la
guerra moderna è un atto di imperialismo economico e culturale,
per cui pronunciarsi per la guerra dovrebbe essere avvertito
come in stridente contraddizione con ogni sentimento di vera
religiosità, di semplice umanità, in definitiva".
Carmela Pisaniello