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Anno 7  n.1  Gennaio - Aprile 2007
 
 

San Josemaría Escrivá e il presepe

 

     
 
                                                                                                         

    Talvolta anche noi che amiamo il presepe e ce lo raffiguriamo tutti i giorni, portandocelo nel cuore, ci sentiamo un po’ freddi di fronte ad una rappresentazione della Natività e ci chiediamo se questo dipenda da un’incapacità dell’artigiano – in qualche caso dell’artista - a rappresentare l’evento che ha unito il cielo e la terra o non piuttosto ad una nostra disposizione d’animo che in quel momento c’impedisce di entrare e, ancora una volta, di stupirci di fronte al mistero del Natale. È opinione concorde fra gli appassionati, che una certa capacità artistica nell’esecuzione del presepe possa facilitare, certo, la contemplazione del mistero, ma che a tale scopo la disposizione d’animo sia l’aspetto più importante. Ecco perché desideriamo oggi farci guidare da un maestro di spiritualità che ha amato molto il presepe e in particolare il Bambinello. Parliamo di san Josemaría Escrivá (Barbastro, Spagna 1928 - Roma 1975), fondatore dell’Opus Dei, istituzione della Chiesa Cattolica che aiuta a trovare Dio nel lavoro e nell’adempimento dei doveri familiari, ad entrare in rapporto con Lui e a portarLo agli altri. San Josemaría, canonizzato a Roma nel 2002 da Giovanni Paolo II, pronunciò delle splendide omelie sul Natale, raccolte in uno dei suoi due libri di omelie: É Gesù che passa (Edizioni Ares, Milano www.ares.mi.it ). Attingendo a questa fonte egli ci prenderà per mano e ci aiuterà, ci auguriamo, ad inginocchiarci anche noi, come bambini,  e a posare una pecorella in mezzo al muschio, immaginando così di entrare a far parte della Scena. Certo, occorre farsi piccoli e questo può sembrare difficile, ma siamo incoraggiati a farlo dal più autorevole dei consigli: “Chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli (Mt, 18,4).”

    

“Quando giunge il tempo natalizio mi piace contemplare le immagini di Gesù Bambino. Quelle figure che rappresentano il Signore nel suo annientamento mi ricordano che Dio ci chiama, che l'Onnipotente ha voluto presentarsi a noi indifeso e come bisognoso degli uomini. Dalla culla di Betlemme Gesù dice a me e a te che ha bisogno di noi; ci sollecita a una vita cristiana senza compromessi, a una vita di donazione, di lavoro, di gioia.

Non raggiungeremo mai la vera serenità se non imitiamo davvero Gesù Cristo, se non lo seguiamo nell'umiltà. Avete visto dove si nasconde la grandezza di Dio? In una mangiatoia, con le fasce di un neonato, dentro una grotta. La forza redentrice della nostra vita sarà efficace pertanto solo se c'è umiltà, solo quando smetteremo di pensare a noi stessi e sentiremo la responsabilità di aiutare gli altri.

Cristo fu umile di cuore. In tutta la sua vita non volle per sé nulla di singolare, nessun privilegio. La sua esistenza umana ha inizio nel seno di sua Madre, ove permane nove mesi come ogni altro mortale, nel modo più naturale. Ben sapeva il Signore quale estremo bisogno avesse di Lui l'umanità, e ardente era la sua ansia di scendere sulla terra per la salvezza di tutte le anime: eppure ogni cosa segue il suo corso. Egli nacque quando giunse il suo momento, come ogni altro uomo sulla terra. Dal concepimento alla nascita, nessuno — tranne Giuseppe ed Elisabetta — si rende conto del prodigio: Dio viene a porre la sua dimora tra gli uomini. (Il trionfo di Cristo nell’umiltà, É Gesù che passa, n. 18)

“Et Verbum caro factum est” ci dice san Giovanni nel prologo del suo Vangelo: il Verbo, la Seconda Persona della Santissima Trinità, il Logos, la parola e il pensiero stesso di Dio ha assunto la nostra natura prendendo la nostra stessa carne, facendosi uomo, bambino, come ciascuno di noi. Ma allora se la Sua carne è come la mia carne, la mia carne, che pure spesso mi trascina verso il basso, non è cattiva. Se le sue mani sono come le mie mani, che così frequentemente si sporcano da doverle lavare prima di ogni pasto, le mie mani non sono solo sporcizia, ma possono fare cose grandi, cose divine, operae Dei. Se Dio stesso ha assunto la natura umana non è assurdo pensare che tutto quello che è umano può essere divino, se fatto in unione con Lui. Altro che bassezze! Altro che miserie umane! Le abbiamo certo ma, grazie a Dio, possiamo farne un opera Sua. Et Verbum caro factum est: Dio è uomo. L’uomo può essere Dio… se scopre il valore dell’umiltà.


”Il Natale di Gesù è soffuso di ammirevole semplicità: il Signore viene senza risonanza, sconosciuto a tutti. Qui in terra, soltanto Maria e Giuseppe partecipano a questa avventura divina. Poi i pastori, ai quali gli angeli recano l'annunzio. E, più tardi, quei saggi dell'Oriente. È così che ha compimento l'evento trascendente che unisce il cielo alla terra, Dio all'uomo.

È mai possibile tanta insensibilità di cuore al punto di abituarsi a queste scene? Dio viene nell'umiltà perché ci sia possibile avvicinarlo, perché ci sia possibile corrispondere al suo amore con il nostro amore, perché la nostra libertà si arrenda non più soltanto alla manifestazione della sua potenza, ma anche allo splendore della sua umiltà.

Ineffabile grandezza di un bambino che è Dio! Suo Padre è il Dio che ha fatto i cieli e la terra, eppure Egli è lì, in una mangiatoia, quia non erat eis locus in diversorio (Lc 2,7), perché non c'era altro posto sulla terra per il Signore di tutto il creato.” (op. cit., n. 18)

 

“Quando parlo davanti al presepio, cerco sempre di immaginarmi Gesù nostro Signore proprio così, avvolto in fasce e adagiato sulla paglia di una mangiatoia; ma al tempo stesso cerco di vederlo, mentre è ancora bambino e non parla, come Dottore e Maestro. Ho bisogno di considerarlo in questo modo, perché devo imparare da Lui. Per imparare da Lui è necessario conoscere la sua vita; è necessario leggere il santo Vangelo e meditare le scene del Nuovo Testamento per addentrarci nel senso divino dell'esistenza terrena di Gesù.

Dobbiamo infatti riprodurre la vita di Cristo nella nostra vita. Ma ciò non è possibile se non attraverso la conoscenza di Cristo che si acquista leggendo e rileggendo la Sacra Scrittura e meditandola assiduamente nell'orazione, così come facciamo ora, davanti al presepio. Bisogna capire gli insegnamenti che Gesù ci dà fin dall'infanzia, fin da neonato, fin dal momento in cui i suoi occhi si sono aperti su questa benedetta terra degli uomini.

Gesù, che cresce e vive come uno di noi, ci rivela che l'esistenza umana, con le sue situazioni più semplici e più comuni, ha un senso divino. Benché abbiamo considerato tante volte questa verità, ci deve pur sempre riempire di ammirazione la considerazione di quei trent'anni di oscurità che costituiscono la maggior parte del tempo che Gesù ha trascorso tra gli uomini suoi fratelli. Anni oscuri, ma per noi luminosi come la luce del sole. Sono, anzi, lo splendore che illumina i nostri giorni, che dà ad essi il loro autentico significato: perché altro non siamo che comuni fedeli che conducono una vita in tutto uguale a quella di tanti milioni di persone dei più diversi luoghi della terra.

Per sei lustri Gesù non fu che questo: fabri filius, il figlio dell'artigiano. Quando poi vengono i tre anni di vita pubblica e l'osanna delle folle, la gente si stupisce: chi è costui e dove ha appreso tante cose? Perché la sua vita era stata la vita comune della gente della sua terra. Egli stesso era noto come faber, filius Mariae, l'artigiano, figlio di Maria. Ed era Dio, e veniva a compiere la Redenzione del genere umano, ad attirare a sé tutte le cose.” (op. cit., n. 14)

 

Eppure di fronte a queste realtà così belle, la mente si ribella, la nostra intelligenza, abituata a guardare, a osservare ciò che si può toccare, fa fatica ad accettare tanta grandiosità ed è tentata di pensare che tutto questo è troppo bello per essere vero. Sentiamo allora cosa ci consiglia san Josemaría:

 

“Dobbiamo contemplare Gesù Bambino, nostro Amore, nella culla. Dobbiamo contemplarlo consapevoli di essere di fronte a un mistero. È necessario accettare il mistero con un atto di fede; solo allora sarà possibile approfondirne il contenuto, guidati sempre dalla fede. Abbiamo bisogno, pertanto, delle disposizioni di umiltà proprie dell'anima cristiana. Non vogliate ridurre la grandezza di Dio ai nostri poveri concetti, alle nostre umane spiegazioni; cercate piuttosto di capire che, nella sua oscurità, questo mistero è luce che guida la vita degli uomini.” (op. cit., n. 13)

 

“Lux fulgebit hodie super nos, quia natus est nobis Dominus: oggi splenderà la luce su di noi, perché ci è nato il Signore. Ecco il grande annuncio che commuove in questo giorno i cristiani e che, per loro mezzo, viene rivolto a tutta l'umanità. Dio è in mezzo a noi. È questa la verità che appaga la nostra vita. Ogni Natale deve essere per noi un nuovo e peculiare incontro con Dio, in modo tale che la sua luce e la sua grazia entrino fino in fondo nella nostra anima.” (op. cit., n. 12)

 

“Ci” è nato: proprio così. È nato per noi, per ciascuno di  noi, è questo l’annuncio dell’angelo ai pastori: “Oggi vi è nato nella città di Davide, un salvatore, che è il cristo Signore” (Lc 2,11). È nato per noi, non per il Re Erode, ma per i Re Magi, per i pastori, ma anche per i pescatori. E anche oggi cerca dimora nel nostro cuore, anche se corre il rischio di non trovarlo, come allora non lo trovò nell’albergo. E anche oggi, se lo trova, è in grado di trasformare i pescatori in apostoli, noi poveri esseri di carne in anime chiamate a vivere sulla terra la bellezza e la ricchezza dei beni del cielo.


Ecco, ci siamo fatti accompagnare da un maestro – un papà - che ci ha spiegato un po’ il senso del presepe, il suo significato più profondo e se per caso ci siamo sorpresi davvero a contemplare la scena della Natività, come se fossimo presenti anche noi e questo ci sembra un  po’ strano, sentiamo cosa ci direbbe san Josemaría:

 

“Devozione del Natale. —Non sorrido nel vederti comporre le montagne di sughero del presepio e collocare le ingenue figure di creta intorno alla grotta. —Non mi sei mai apparso tanto uomo come in questo momento, in cui sembri un bambino.” (Cammino, punto 557)