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Anno2 - n.5 - Dicembre 2002

 


      Mi rendo conto che soffermandomi sulla produzione e le particolarità del 'genere', possa in qualche modo apparire come qualcosa di diverso dal fenomeno inizialmente indicato di quantità e qualità delle opere attualmente prodotte. E sembra che non abbia senso distinguere la prima dalla seconda casistica produttiva, visto che buone figure sono presenti in entrambe. Ma al di là della netta differenza che le separa (una, rigidamente legata ai modi e allo stile settecentesco; l'altra aperta a risoluzioni personali), se osserviamo con attenzione le figure del primo aggruppamento, anche quelle migliori, rileviamo una situazione a dir poco sorprendente, che è contraria al principio basilare sostenuto dai puristi del "fare come in passato": i famigerati occhi di vetro (semmai quelli industriali per bambole e bambolotti prodotti in Germania da ben un centinaio d'anni), orgoglio e vanto di quei pastorari che ritengono indispensabile tale applicazione (anche se rimane deficitaria la plastica e la cromia delle testine), risultano quasi sempre, essere montati con poca accortezza; infatti, se non si presentano essere affette da strabismo, queste figure guardano tutte nel vuoto, e si perdono lontano; perché non convergendo verso un fuoco a loro più prossimo (l'interlocutore), viene a mancare il senso della comunicazione e l'effetto di convincente naturalismo resta penalizzato. L'inserimento delle calottine di vetro nelle testine di terracotta, viene praticato ignorando che alla rotazione e all'inclinazione della testa sul busto, corrisponde ancora un'altra rotazione: quella dei bulbi oculari all'interno delle cavità orbicolari.
       Ai pastori del primo gruppo è consentita un'espressività limitata, alla fissità si alternano solo l'imbambolamento e l'esagitazione (caratteristiche condivise anche dalle tante, insensate figure di Pulcinella presenti sul mercato). Soavità, rapimento, estasi, meraviglia, gioia, felicità, ecc., raramente traspaiono da questi volti; l'eccesso di caratterizzazione porta inevitabilmente alla caricatura e le figure che dovrebbero trasmettere stati d'animo come: l'estasi o il rapimento, ad esempio, o sono atone, inespressive, o sembrano rasentare l'idiozia. Non tenendo conto, o non avendo le capacità di adeguare a una predeterminata tipologia, la variabilità delle arcate sopraccigliari, l'opportuna mobilità della fronte, il misurato dischiudersi della bocca, nella totalità delle tensioni muscolari del volto, è impossibile conferir l'espressione, e di conseguenza è impensabile che possano trasmettere emozioni.
      Nell'aspetto generale, queste figure si presentano bene e risultano essere valide proprio per questo apparire, infatti assolvono la loro funzione nella disposizione in gruppi; ma non sono pastori/attori, perchè per la loro fissità o relativa quanto eccessiva caratterizzazione, sono incapaci di recitare e restano solo delle presenze di riempimento, delle comparse. Basterebbe ancora qualche sforzo, un impegno maggiore nel conferir loro l'espressione, e gli attuali 'pupazzi' potrebbero assumere una certa parvenza di vitalità, e quindi essere realmente dei 'pastori'.
       Il titolo di questo intervento dice esplicitamente di 'non senso' e finora, lo ammetto, sembra che mi sia mantenuto sotto le righe e abbia volontariamente tentato di eludere ogni spiegazione a riguardo; ma il preambolo introduttivo sul genere è stato necessario.
     Tentare di fare una figura presepiale di maniera, come quelle del settecento, costituisce un'esperienza; riuscire a realizzarla, vederla crescere e assumere sempre più identità tra le proprie mani, è decisamente esaltante. Per raggiungere uno stato avanzato di bravura, ammettendo di avere già una predisposizione, occorrono anni e anni da dedicare allo studio in genere, alla plastica e alla pittura. Fare questa attività per lavoro o per diletto, costituisce un privilegio che da gioia e riempie di orgoglio.
Ma che piacere, che soddisfazione si può provare se la testina (la parte essenziale del pastore), non è stata eseguita integralmente con la propria concettualità e la propria manualità?
     Che senso ha vantarsi del proprio operato se il manufatto utilizzato è principalmente un calco?
     Che piacere si può provare nel plagiare un'antica figura?
     Che senso hanno le copie e le imitazioni dall'antico o le modifiche apportate a un calco? La creatività dov'è? Non c'è e basta!
     Che senso ha voler utilizzare necessariamente gli occhi di vetro, per poi non saperli applicare con oculatezza; perchè così vuole la tradizione? Così dev' essere fatto?
      Forse questo modo di operare è finalizzato a una questione di sold? Bene! Sotto certi aspetti (che non condivido) può essere comprensibile, comunque resta un fare disonesto. Ma è proprio necessario giocare sull'equivoco?
     E poi, che senso hanno tutte quelle ciance sul modo di vestire, quegli atteggiamenti cattedradici, quelle osservazioni fatte con sufficienza; quali riferimenti si hanno per poter sentenziare: 'ben fatto', 'non va' o 'non si fa così, ina...' ; forse la visione diretta dal vero e indiretta dalle fotografie dei vecchi pastori, o il riferimento alle gouaches e ai dipinti dei costumi d'epoca, danno la dovuta competenza? Non basta! (Conosco bene da dove viene questa saccenza, perciò mi permetterei di suggerire una maggior cautela nel dare precise sentenze). La vestitura, volendola eseguire nel riferimento dei canoni settecenteschi, è un argomento notevolmente insidioso; vuoi per la scelta dei materiali, vuoi per le combinazioni cromatiche (che spesso sono simboliche e con significati diversi da periodo a periodo), vuoi per l'abbinamento tipologico (alla plastica e alla colorazione dei volto), vuoi per i rifacimenti, per gli scambi, per gli interventi di restauro e per... . Le figure integre, con le vestiture originali egualmente integre, sono meno numerose di quanto si possa supporre; individuarle risulta particolarmente difficile, così come collocarle nei loro ristretti periodi storici. Quindi?
     Immaginiamo per un momento di partecipare a una mostra di pittura, l'opera che stiamo presentando, tra le tante eseguite da altri, vorrebbe rappresentare la Gioconda ed essere la copia (dichiarata o volutamente nascosta) da Leonardo, oppure una qualsiasi figura riferita ai modi dell'artista; ma l'esposizione non è dedicata ai cosiddetti 'falsi d'autore'. Tutto ciò sarebbe un non senso, vero? Si! Decisamente un'assurdità.
Ora, immaginiamo ancora di partecipare a una mostra, stavolta però di cosiddetta 'Arte Presepiale', e presentiamo una figura che vorrebbe essere una copia, oppure un esemplare che si rifà a modi attribuiti al Sanmartino; come per la mostra di pittura risulta assurdo esporre la scopiazzatura di un'opera di Leonardo, o da qualsiasi altro autore; così, con eguale ragionevolezza, non è pensabile presentare a una mostra Presepiale, una pari scopiazzatura da un qualsivoglia, insigne o meno, autore del passato. O trattandosi di una esposizione del genere, il criterio di valutazione delle opere è diverso? Non lo è! E non lo deve essere assolutamente.
      Il problema nasce da quel certo 'atteggiamento d'artista', ostentato da tanti plastificatori che non hanno il pudore di arrogarsi il merito di aver 'creato' l'opera con le proprie mani; ma se già è da discutere il riconoscimento di una certa creatività nel fare oggi i pastori, figuriamoci poi a quali conclusioni si può giungere quando la figura è una copia, un'imitazione, o addirittura quando il manufatto iniziale è costituito da un calco. Altro che artisti! Altro che artigiani! Per carità! Rispettiamo i ruoli e 'diamo a Cesare quel che è di Cesare'.
     Qualche anno fa mi trovavo nel laboratorio di un noto figuraro, stavo li per una diversa ragione; a un certo momento, di sua iniziativa, il titolare ritenne opportuno mostrarmi due teste di argilla allo stato cuoio, nel sottopormele ne vantava la buona esecuzione e precisava che erano dei Magi (Gaspare e Melchiorre per la precisione). Perchè costui mi mostrò le due teste dicendomi che le aveva personalmente eseguite, se le stesse erano due calchi (resi evidenti dalla ricorrente tipologia, dalla dimensione e dalla perfetta sfericità dei bulbi oculari ancora in pasta), ricavate da forme riprese rispettivamente da un San Francesco di Paola e da un Cristo Redentore? Perchè in un altro laboratorio mi hanno mostrato con orgoglio due accademie maschili in terracotta, chiaramente messe insieme con calchi di parti anatomiche ricavate nientedimeno, anche da un Cristo Crocefisso? Purchè allora, non si ha pudore di mostrare e di dichiarare una propria presunta abilità (nel fare forme e calchi, sicuro che esiste), se molte di queste opere sono riprese oltre che da pastori e figure sacre, anche dalle varie esecuzioni ridotte delle opere di Houdon, di Cigoli, di Lelli, di Bandinelli, di Caudron, di Gianbologna e del Davide di Michelangelo, vendute nelle località turistiche? Perchè tanta inutile vanteria? Non sarebbe opportuno contenersi nel silenzio e non provocare il senso indagatore?
     Queste ostentazioni e questo fare truffaldino, nuocciono e coinvolgono negativamente sia chi opera con rettitudine, sia lo stesso mercato delle figure da presepe; perchè fanno perdere di credibilità. Poi, purtroppo, risulta sintomatico 'fare di un'erba un fascio' e alla fine, la totalità degli addetti ai lavori sono considerati con riserva, e finiscono tutti nel calderone, etichettato: "Napoli", della disonestà.
     Non trovo che sia giusto ignorare la poca accortezza e la disinvolta artificiosità presente nel settore; alla fine, a rimetterci, sono quei plastificatori onesti e di buona levatura che perdono d'immagine e vengono confusi, loro malgrado, in tanta caotica situazione.
     Credo sia giunto il momento di auspicare un'azione moratoria, una specie di controllo, che possa essere messo in atto dalle varie associazioni presepiali esistenti in Campania, realizzato attraverso mostre opportunamente depurate dall'esistenza di artificiosità in genere, o se presenti, possono sussistere solamente con le dovute indicazioni delle specifiche tecnologie utilizzate. Tengo a precisare che tale iniziativa dovrebbe innanzitutto fare ordine all'interno delle stesse organizzazioni, per dimostrare che gli "Amici del Presepio" vivono e perpetuano il sentimento cristiano di "onestà" ed esserne l'esempio. Quindi, senza operare sconvolgimenti estremi e procedendo con ammissioni veritiere, le Associazioni potrebbero assolvere al ruolo decisivo della 'guida', quale esempio e riferimento di un fare senza inganni ne compromessi, e rientrare così, nel principio e nello spirito della loro stessa istituzione.
      Un'iniziativa a tal fine c'è stata, ha operato per un certo tempo con questi principi e ha dato, in breve, inalienabili riscontri. Di questa asserzione è possibile la verifica, riprendendo le iniziative concettuate e realizzate sia nei musei cittadini e in altri centri del territorio nazionale, sia per i risultati ottenuti dalla preparazione dimostrata dai giovani corsisti. Ma le iniziative private restano pur sempre tali, vuoi per indisponibilità finanziaria, vuoi per l'indifferenza delle istituzioni, vuoi per le divergenze di vedute che via via si manifestano nei gruppi; le forze che le compongono, spesso non si ritrovano nel perseguire determinati progetti, e succede che perdendo le motivazioni (sono sempre quelle nobili e altruistiche a soccombere), si separano; per poi finire inevitabilmente con l'estinguere idee e propositi. Giustamente vantiamo una tradizione presepiale unica e particolare, ma generalmente non teniamo conto che per conservarla e perpetuarla è necessario innovarla e sostenerla con iniziative adeguate, come la fondazione di un "Centro per gli studi presepiali" con tanto di archivio storico, di biblioteca specializzata, di banca immagini e soprattutto di una "Scuola di formazione presepiale napoletana" concepita con criteri e aperture internazionali. Il "Centro" potrebbe diventare il fulcro della cultura e delle tradizioni popolari napoletane contenute nel nostro presepe; incontri, dibattiti e seminari, concorrerebbero a mettere a punto quella che è oggi solo una situazione di disagio. impensabile che finora Napoli sia rimasta insensibile alla realizzazione di una tale esperienza. Quando dico Napoli e come se indicassi i nostri amministratori, il potere costituito, chi decide cosa fare o non fare, chi sostiene o ignora iniziative e progetti comunitari.
     La volontà esiste, le idee sono chiare, i maestri sono disponibili, i progetti sono stati presentati, allora, cosa aspettiamo? Diamoci da fare.
     Un caro saluto a tutti e In bocca al lupo.

Giuseppe Gaeta