i questi grandi complessi non esiste nessuna immagine a ricordarli; le poche scarabattole
e le campane di vetro (ancora integre del loro contenuto), non hanno per concezione e
specificità duso, i riferimenti spaziali necessari alle macchine sceniche
presepiali settecentesche. Tantomeno queste esaltazioni prospettiche sono rilevabili nel
"forse" presepe Sdanghi conservato al Bayerisches National Museum di Monaco.
Anche il "tardo" presepe Reale allestito nel 1844 nella Reggia di Caserta non
possedeva qualità spaziali e partecipazione, come si può facilmente rilevare dalla
lettura delle quattro tempere del Fergola a testimonianza ( ? ) dellevento. La
documentazione fotografica della seconda metà dellottocento e dellinizio del
novecento, illustra allestimenti alquanto banali, mentre risulta storicamente interessante
per il paesaggio di mano dei pastori. Di segno inverso a tale iconografia, risulta
infruttuosa per la ricerca di aderenze al pensiero illuminato, è il presepe
Cuciniello.
Messo in opera tra il 1887 e il 1889 nel Museo di San Martino (prescindendo dalle ragioni
relative alla sua installazione, e il fuori tempo di almeno cento anni); credo, possa
essere considerato un esempio, lunico riferimento valido al carattere della grande
stagione presepiale settecentesca. Supportano questa tesi: le ampie e ingannevoli
prospettive; le scelte tipologie e i legami tra i pastori - attori; e la corale
partecipazione del collettivo (ambiente e figur ), al non accantonato "Mistero".
Lopportunità di utilizzare figure presepiali vecchie di centinaia danni, è
una discutibile operazione artistica; proprio per lunione di due concezioni tanto
distanti tra loro: i pastori, ideati e costruiti in una data epoca e sotto linflusso
di quel determinato pensiero; e la scenografia, realizzata in un momento decisamente
diverso che non riflette le idee del proprio tempo, e si conforma (attuando un prodotto di
maniera), a una passata, esausta corrente espressiva.
Posizione discutibile, se vista in questo momento di transizione, dove la manipolazione
del componimento artistico di autori del passato è sempre più attuata, favorendo un
processo che vanifica la stessa concezione storica dellopera darte.
Al di la di questa o quellaltra posizione critica, esiste ugualmente la massima
libertà di fare e disfare; quindi, se un collezionista vuole impiegare la sua raccolta di
figure per allestire il presepe, se desidera togliere dal forzato esilio in teche e
vetrine i pastori, gli animali, e le tante piccole cose accessorie per dare forma al suo
disegno, sarà, sotto certi aspetti unoperazione antistorica. Comunque.......
Ripetere quellesperienza lontana è una impresa notevole, coraggiosa, e certo di non
facile realizzazione. Una costruzione di grandi dimensioni da tenere ferma lì, fissa ,
sempre presente, premette valutazioni e scelte sicure, senza ripensamenti. Così, volendo
riprovarci, come accadeva nel secolo doro, ancora oggi alle soglie del duemila, è
indispensabile (se la concezione del "masso" non è dello stesso collezionista),
lincontro di due precise personalità: committente e regista. La consapevolezza di
affidare lesecuzione del progetto e la relativa edificazione, senza intromissioni, a
una individualità eclettica, sospesa tra arte e mestiere, praticante la pittura, la
scenografia, il teatro, e, non ultima, leffettiva capacità organizzativa di
amalgamare la complicata, molteplice realtà delle partecipazioni, per ununica
lettura dinsieme; è la necessaria premessa per la riuscita del
lavoro.
Gaeta
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