l
cammino da compiere è, però, ancora molto. I personaggi sono fatti in
legno, non snodabili; il che non lascia molto spazio né all'espressione
dei Pastori, né alla loro intercambiabilità.
Il
Seicento introdusse i manichini di legno snodabile. Intorno alla metà
del secolo si affermò Pietro Ceraso, un abile artigiano che, per primo,
concepì l'idea di «dividere» il manichino ligneo dalla testa e dagli
arti. A lui venne commissionato il Presepe di S. Maria in Portico.
Questo, rappresentava il più grande mai realizzato con tale tecnica.
Altrettanto importante fu quello allestito per la Basilica di S.
Gregorio Armeno, esposto al pubblico fino al secondo decennio del nostro
secolo. L'invenzione dei manichini snodabili viene tradizionalmente
attribuita a Michele Perrone, altro abile artigiano napoletano.
Comincia, poi, una rivoluzione nella fattura delle figure presepiali,
che vedono l'uso contemporaneo di materiali diversi, anche nello stesso
soggetto. Così,
teste
lignee, in cera, tela‑plastica. Importante appare la riduzione
delle dimensioni dei pezzi, operata dalla fine del secolo. Dalle
dimensioni piuttosto grandi in uso durante tutto il Seicento, si passa
all'uso generalizzato delle «terzine», cioè figure alte circa 40
centimetri.
Agli
inizi dei Settecento, nasce il Pastore come noi lo conosciamo: la testa
è in terracotta, materiale che consente una maggiore espressività,
rispetto al legno, e, soprattutto, una più veloce esecuzione. Il
manichino era realizzato in ferro «cotto» lasciato, cioè, per un
periodo più o meno lungo nella cenere, allo scopo di aumentarne la
duttilità, caratteristica peculiare per creare il «movimento» delle
figure, dando loro il massimo della plasticità. Il tutto, prima della
vestitura, veniva ricoperto da cascame di canapa (la «stoppa»);
altezza: 35-40 centimetri.
Naturalmente,
la povertà delle materie prime, (creta, fil di ferro e canapa,
sicuramente meno costosi del legno), la velocità nell'esecuzione, la
riduzione delle dimensioni ed infine la possibilità, per un pubblico
meno esigente, di fare calchi (visto l'impiego della creta), e dunque
delle copie, contribuirono a rendere i prezzi più «accessibili», e ciò
influenzò non poco l'affermarsi della presenza del Presepe anche in
case private (seppure di alta nobiltà).
Il
resto, come si dice, è Storia. Il Presepe, a Napoli, divenne fenomeno
di cultura. L'introduzione della scenografia, «liberandolo»
definitivamente dalle due dimensioni (alle quali era rimasto idealmente
legato) e, soprattutto, dal contesto nel quale veniva posto, gli dona
una propria identità, una personale «realtà» entro la quale si
poteva dare spazio alle fantasie più bizzarre. Nacquero i cosiddetti «Tipi»,
Pastori con caratteristiche specifiche, interpretate alla propria
maniera da ogni artista. I magi, ad esempio, erano divisi in tre
tipologie: re Giovane, re Vecchio, re Moro; al seguito di essi vi erano
le «favorite», distinte per
razze; allora: la georgiana, la circassa, ed altre ancora. Vi era
sempre almeno una Zingara, un Mendicante, un Pastore dormiente, un Moro
al seguito dei Magi, gli Zampognari, i Borghesi, i Rustici, e tante
altre vere e proprie «Dramatis
personae»,
che
venivano ulteriormente classificate per l'età (giovane, vecchio), per
l'espressione del volto (in estasi, arrabbiato, sorridente o in altri
atteggiamenti) o per una malattia (con cataratte, cieco, zoppo). Come
poteva, allora, non nascere e fiorire, con tanto materiale a
disposizione, in una città come Napoli, una vera e propria «mania»
(come qualcuno ha detto), per il Presepe?
Il
Settecento ha rappresentato il suo periodo di massimo splendore, e su
quel periodo sono state fatte le critiche più disparate. «Pazzia
collettiva della Napoli di quel tempo», «gioco di Società», «divertissement»,
con il quale, nella Napoli settecentesca, in una Società frivola e «cicisbea»,
decadenti aristocratici ed emergenti borghesi deliziavano le loro
annoiate ed oziose giornate, ben lungi dal solo immaginare gli orrori
che si sarebbero succeduti con la Rivoluzione Francese. Più vicina alla
realtà, invece, appare la definizione di «Fenomeno
altalenante fra la Storia dell’Arte e quella del Costume»,
come
ebbe a ricordare, riprendendolo da altri, Franz Von Lobstein in un suo
scritto. Più vicina, dicevo, ma ben lontana dal solo rendere l'idea di
quella Napoli Borbone «Moderna e illuminata», unica vera capitale
d'Italia, della quale, solo qualche decennio più tardi, a chi gliene
chiedeva notizie, Wolfgang Ghoete rispondeva: «Napoli? Parigi! Le
altre, solo delle piccole Lione!»
Nel
1752 il Vanvitelli, scrivendo al fratello Urbano, definiva la
costruzione del Presepe «una ragazzata», nonostante ben conoscesse il
fatto che a tale attività si dedicassero scenografi, pittori,
argentieri, sarti, liutai e, secondo quanto «certificato» da eminenti
studiosi, grandi scultori che provvedevano a modellare i Pastori. Una
scuola, invero, sicuramente fiorente, se si pensa che vi sono pezzi
attribuiti a Lorenzo Vaccaro, Matteo Bottiglieri, Felice Bottiglieri,
Angelo Viva, fino a Giuseppe Sanmartino, delicato creatore del
suggestivo «Cristo velato», custodito nella cappella San Severo in
Napoli. L'architetto olandese nato a Napoli (affermazione in questa
occasione sicuramente giustificata), trovò, forse, un suo preciso
limite proprio nella grandezza delle sue Opere: dall'alto dei suoi
Palazzi, dei suoi Ponti e dei suoi Acquedotti non riuscì a vedere (ma
forse finse di non vedere, poiché nella stessa sede ed
in altre, alla fine «assolse»
il Presepe) la Vera Arte in una cosa piccola (ma non piccola cosa) come
la rappresentazione della Natività'. In verità, ai non napoletani non
è di facile comprensione il discorso del Mistero natalizio così come
raccontato dal Presepe. Il cammino che l'uomo percorre e la sua meta
finale non era sicuramente oggetto dell'Arte così come veniva intesa in
quel periodo. La dottrina del tempo, infatti, la intendeva come
rappresentazione del «Vero», ma di un «Vero» che doveva apparire
bello a tutti i costi; ben lontano, dunque, dal «Falso» del corteo
degli Orientali (assenti nel racconto biblico, dove, come già detto,
non viene neppure specificato il numero dei Magi), almeno quanto lo era
dal «Vero» dei «pezzenti» delle «Accademie» (anch'essi falsi,
poiché più belli e non maleodoranti come quelli che normalmente
circolavano per le strade della Città). Proprio l'insieme di questi «bianchi
e neri» (codici rigorosamente barocchi), mai «assolutamente» bianchi
e mai «disperatamente» neri, fa si che il Presepe napoletano, partendo
da questi due semplici colori, si inerpichi sulla difficile strada della
ricerca dei toni intermedi (le «ombre»), alla guisa dei maggiori e più
importanti esempi dell'arte barocca, senza però perdersi negli eccessi
sovrastrutturali che limitarono la produzione di quella scuola.
L'Ottocento
vide una ulteriore riduzione delle dimensioni dei Pastori (15‑20
centimetri) e la scomparsa delle «vestiture», in quanto venivano
modellati «a tutto tondo». Già Sanmartino aveva felicemente tentato
(con la Sacra Famiglia esposta al museo di Monaco) un esperimento sul
modellato intero. Lì, però, si era trattato di una esperienza
artistica, nel secolo scorso, invece, i motivi erano soprattutto di
economicità.
Naturalmente
i Pastori a «terzina» venivano ancora prodotti, ma si trattava, quasi
sempre, di riproduzioni da calchi operati su figure di Autore (abbiamo
dei discreti esemplari su Celebrano, Sanmartino ed altri). In realtà,
l'Ottocento (la seconda metà, in quanto il periodo d'oro del Presepe si
è protratto fino al primo quarantennio) rappresenta un po' un periodo
di stasi della produzione artistica, anche se il Presepe entra, in
maniera prepotente, in ogni casa. Verso la fine del secolo, iniziò la
produzione di Pastori per lo sfondo, di piccole dimensioni, che avevano
il compito di «allargare» la «realtà» scenografica. Questi erano
detti Moschelle a «pettolelle». Il primo termine stava ad affermare le
loro ridotte dimensioni, il secondo era legato ad un vocabolo culinario
di Napolì, la «pettola», che indica la sfoglia di pasta. Infatti,
queste «moschelle», erano rivestite di uno sfoglio di creta che doveva
simulare le vestiture (!). Dapprima si trattò di artifici puramente di
effetto; con il tempo, poi, vi fu una vera e propria evoluzione delle
figure, evoluzione che terminerà con l'affermazione di una vera e
propria scuola di artisti dediti alla produzione di questi personaggi al
punto da farli divenire non già comparse, ma interpreti principali; di
questo, però, parleremo nella sezione dedicata ai nuovi Autori.
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