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Anno 1 - n.1 - Dicembre 2000
 

Albero genealogico del Presepe

 

l cammino da compiere è, però, ancora molto. I personaggi sono fatti in legno, non snodabili; il che non lascia molto spazio né all'espressione dei Pastori, né alla loro intercambiabilità.

Il Seicento introdusse i manichini di legno snodabile. Intorno alla metà del secolo si affermò Pietro Ceraso, un abile artigiano che, per primo, concepì l'idea di «dividere» il manichino ligneo dalla testa e dagli arti. A lui venne commissionato il Presepe di S. Maria in Portico. Questo, rappresentava il più grande mai realizzato con tale tecnica. Altrettanto importante fu quello allestito per la Basilica di S. Gregorio Armeno, esposto al pubblico fino al secondo decennio del nostro secolo. L'invenzione dei manichini snodabili viene tradizionalmente attribuita a Michele Perrone, altro abile artigiano napoletano. Comincia, poi, una rivoluzione nella fattura delle figure presepiali, che vedono l'uso contemporaneo di materiali diversi, anche nello stesso soggetto. Così, teste lignee, in cera, tela‑plastica. Importante appare la riduzione delle dimensioni dei pezzi, operata dalla fine del secolo. Dalle dimensioni piuttosto grandi in uso durante tutto il Seicento, si passa all'uso generalizzato delle «terzine», cioè figure alte circa 40 centimetri.

Agli inizi dei Settecento, nasce il Pastore come noi lo conosciamo: la testa è in terracotta, materiale che consente una maggiore espressività, rispetto al legno, e, soprattutto, una più veloce esecuzione. Il manichino era realizzato in ferro «cotto» lasciato, cioè, per un periodo più o meno lungo nella cenere, allo scopo di aumentarne la duttilità, caratteristica peculiare per creare il «movimento» delle figure, dando loro il massimo della plasticità. Il tutto, prima della vestitura, veniva ricoperto da cascame di canapa (la «stoppa»); altezza: 35-40 centimetri.

Naturalmente, la povertà delle materie prime, (creta, fil di ferro e canapa, sicuramente meno costosi del legno), la velocità nell'esecuzione, la riduzione delle dimensioni ed infine la possibilità, per un pubblico meno esigente, di fare calchi (visto l'impiego della creta), e dunque delle copie, contribuirono a rendere i prezzi più «accessibili», e ciò influenzò non poco l'affermarsi della presenza del Presepe anche in case private (seppure di alta nobiltà).

Il resto, come si dice, è Storia. Il Presepe, a Napoli, divenne fenomeno di cultura. L'introduzione della scenografia, «liberandolo» definitivamente dalle due dimensioni (alle quali era rimasto idealmente legato) e, soprattutto, dal contesto nel quale veniva posto, gli dona una propria identità, una personale «realtà» entro la quale si poteva dare spazio alle fantasie più bizzarre. Nacquero i cosiddetti «Tipi», Pastori con caratteristiche specifiche, interpretate alla propria maniera da ogni artista. I magi, ad esempio, erano divisi in tre tipologie: re Giovane, re Vecchio, re Moro; al seguito di essi vi erano le «favorite», distinte per razze; allora: la georgiana, la circassa, ed altre ancora. Vi era sempre almeno una Zingara, un Mendicante, un Pastore dormiente, un Moro al seguito dei Magi, gli Zampognari, i Borghesi, i Rustici, e tante altre vere e proprie «Dramatis personae», che venivano ulteriormente classificate per l'età (giovane, vecchio), per l'espressione del volto (in estasi, arrabbiato, sorridente o in altri atteggiamenti) o per una malattia (con cataratte, cieco, zoppo). Come poteva, allora, non nascere e fiorire, con tanto materiale a disposizione, in una città come Napoli, una vera e propria «mania» (come qualcuno ha detto), per il Presepe?

Il Settecento ha rappresentato il suo periodo di massimo splendore, e su quel periodo sono state fatte le critiche più disparate. «Pazzia collettiva della Napoli di quel tempo», «gioco di Società», «divertissement», con il quale, nella Napoli settecentesca, in una Società frivola e «cicisbea», decadenti aristocratici ed emergenti borghesi deliziavano le loro annoiate ed oziose giornate, ben lungi dal solo immaginare gli orrori che si sarebbero succeduti con la Rivoluzione Francese. Più vicina alla realtà, invece, appare la definizione di «Fenomeno altalenante fra la Storia dell’Arte e quella del Costume», come ebbe a ricordare, riprendendolo da altri, Franz Von Lobstein in un suo scritto. Più vicina, dicevo, ma ben lontana dal solo rendere l'idea di quella Napoli Borbone «Moderna e illuminata», unica vera capitale d'Italia, della quale, solo qualche decennio più tardi, a chi gliene chiedeva notizie, Wolfgang Ghoete rispondeva: «Napoli? Parigi! Le altre, solo delle piccole Lione!»

Nel 1752 il Vanvitelli, scrivendo al fratello Urbano, definiva la costruzione del Presepe «una ragazzata», nonostante ben conoscesse il fatto che a tale attività si dedicassero scenografi, pittori, argentieri, sarti, liutai e, secondo quanto «certificato» da eminenti studiosi, grandi scultori che provvedevano a modellare i Pastori. Una scuola, invero, sicuramente fiorente, se si pensa che vi sono pezzi attribuiti a Lorenzo Vaccaro, Matteo Bottiglieri, Felice Bottiglieri, Angelo Viva, fino a Giuseppe Sanmartino, delicato creatore del suggestivo «Cristo velato», custodito nella cappella San Severo in Napoli. L'architetto olandese nato a Napoli (affermazione in questa occasione sicuramente giustificata), trovò, forse, un suo preciso limite proprio nella grandezza delle sue Opere: dall'alto dei suoi Palazzi, dei suoi Ponti e dei suoi Acquedotti non riuscì a vedere (ma forse finse di non vedere, poiché nella stessa sede ed in altre, alla fine «assolse» il Presepe) la Vera Arte in una cosa piccola (ma non piccola cosa) come la rappresentazione della Natività'. In verità, ai non napoletani non è di facile comprensione il discorso del Mistero natalizio così come raccontato dal Presepe. Il cammino che l'uomo percorre e la sua meta finale non era sicuramente oggetto dell'Arte così come veniva intesa in quel periodo. La dottrina del tempo, infatti, la intendeva come rappresentazione del «Vero», ma di un «Vero» che doveva apparire bello a tutti i costi; ben lontano, dunque, dal «Falso» del corteo degli Orientali (assenti nel racconto biblico, dove, come già detto, non viene neppure specificato il numero dei Magi), almeno quanto lo era dal «Vero» dei «pezzenti» delle «Accademie» (anch'essi falsi, poiché più belli e non maleodoranti come quelli che normalmente circolavano per le strade della Città). Proprio l'insieme di questi «bianchi e neri» (codici rigorosamente barocchi), mai «assolutamente» bianchi e mai «disperatamente» neri, fa si che il Presepe napoletano, partendo da questi due semplici colori, si inerpichi sulla difficile strada della ricerca dei toni intermedi (le «ombre»), alla guisa dei maggiori e più importanti esempi dell'arte barocca, senza però perdersi negli eccessi sovrastrutturali che limitarono la produzione di quella scuola.

L'Ottocento vide una ulteriore riduzione delle dimensioni dei Pastori (15‑20 centimetri) e la scomparsa delle «vestiture», in quanto venivano modellati «a tutto tondo». Già Sanmartino aveva felicemente tentato (con la Sacra Famiglia esposta al museo di Monaco) un esperimento sul modellato intero. Lì, però, si era trattato di una esperienza artistica, nel secolo scorso, invece, i motivi erano soprattutto di economicità.

Naturalmente i Pastori a «terzina» venivano ancora prodotti, ma si trattava, quasi sempre, di riproduzioni da calchi operati su figure di Autore (abbiamo dei discreti esemplari su Celebrano, Sanmartino ed altri). In realtà, l'Ottocento (la seconda metà, in quanto il periodo d'oro del Presepe si è protratto fino al primo quarantennio) rappresenta un po' un periodo di stasi della produzione artistica, anche se il Presepe entra, in maniera prepotente, in ogni casa. Verso la fine del secolo, iniziò la produzione di Pastori per lo sfondo, di piccole dimensioni, che avevano il compito di «allargare» la «realtà» scenografica. Questi erano detti Moschelle a «pettolelle». Il primo termine stava ad affermare le loro ridotte dimensioni, il secondo era legato ad un vocabolo culinario di Napolì, la «pettola», che indica la sfoglia di pasta. Infatti, queste «moschelle», erano rivestite di uno sfoglio di creta che doveva simulare le vestiture (!). Dapprima si trattò di artifici puramente di effetto; con il tempo, poi, vi fu una vera e propria evoluzione delle figure, evoluzione che terminerà con l'affermazione di una vera e propria scuola di artisti dediti alla produzione di questi personaggi al punto da farli divenire non già comparse, ma interpreti principali; di questo, però, parleremo nella sezione dedicata ai nuovi Autori.  

GRILLO