Intorno all' "Annuncio ai pastori" e al suo maestro

di Vincenzo Pacelli

 

Ma è merito di Ferdinando Bologna, già nel 1955, l'aver assegnato al pittore il più calzante dei nomi convenzionali, Maestro dell'Annuncio ai Pastori. Lo studioso ritornò sull'argomento qualche anno dopo, nel 1958, con un'analisi stilistica che ancora oggi conserva tutta la sua lucida attualità. "L'identità di questo maestro, che si svolge omogeneamente con grandezza di intenti e con senso quasi religioso della natura, colta dove essa è più nuda e pulsa più febbrilmente, tra i mandriani del tratturo evocati con sentimento biblico, è difficilissima da ristabilire. Sarebbe attraente identificarne la persona col Passante descritto dal De Dominici (….) ma sta che l'Adorazione dei pastori indicata dal biografo napoletano a S. Giacomo degli Spagnoli non è più in sito, né è riconoscibile altrove con certezza (….) e che quella firmata da Bartolomeo Bassante, al Prado, dichiara un indirizzo pittorico profondamente diverso da quello del "Maestro dell'Annuncio ai pastori".
Un altro studioso, il napoletano Raffaello Causa, compianto Soprintendente ai beni artistici di Napoli, nel 1972, si mostrava convinto della matrice culturale iberica del Maestro, che aveva anch'egli distinto dal Bassante del Prado.
Come Bologna, anche il Causa fissava la cronologia delle opere più antiche tra il 1630 ed il 1635.Rispetto all'iconografia ed alle motivazioni di carattere politico-economiche, questa è la lettura datene dallo Studioso: "E' invece, il Maestro dell'Annuncio ai pastori, assolutamente personale ed inconfondibile, tutto spirito, vigore, intima coerenza di struttura, affannosa, affannata, esasperata impostazione di una ripresa naturalistica che ha un suo preciso timbro spagnolesco, il " Maestro dell'Annuncio" principale ed insostituibile tramite di un percorso da Siviglia (o anche lui, ma più tardi, da Valenza?) a Napoli, mediatore illuminato e cattivante dei modi del primo Velazquez. Perché è lui, e non può essere altri che lui, visto l'ampiezza unitaria della produzione e la costanza di alcune predilezioni tematiche, il primo, assertore a Napoli di questa rivelazione di un mondo proletario, contadino, provinciale; cafoni, pecorai, vecchi, cavalli, pecore, un lezzo stallatico, un cielo nero senza stelle, piedoni callosi, felti laceri e consunti. Sì, tutti veri, presi dalla strada come i modelli di Caravaggio o, più tardi, di Ribera (e magari erano gli stessi); ma quelli erano pur sempre "modelli" chiamati a rendere vivo un canovaccio tradizionale sostanzialmente rispettato, né si poteva chiedere di più, e di più travolgentemente innovatore. E invece qui l'obiettivo si sposta dalla singola figura all'interpretazione d'insieme di una precisa realtà sociale, decantata per la prima volta in termini tesi e già polemici, entro il quale il tema dominante spesso, ma non sempre, l'"Annuncio ai pastori" resta assorbito e talvolta neppure più percettibile. Sicché gli "Annunci" meglio si rapporterebbero al titolo più esplicito "I pastori" o, meglio, "Los campesinos", augurando loro la stessa fortuna dei consanguinei "Borrachos". Questi "Annunci ai pastori", tanti, i più famosi ora nei musei di Capodimonte, di Birgmingham o di Monaco di Baviera, ma ancora quelli di Besançon, di San Paolo del Brasile, nel convento dei francescani ad Ain-Karem in Palestina, a Madrid nella collezione del Marchese di Hernani o a Firenze nella collezione Longhi, dovettero apparire sulla scena napoletana intorno al 1630-35 con una sconvolgente forza di penetrazione, a rilevare un mondo sconosciuto alla tradizione, un territorio inesplorato che si offriva per una serie di ricerche nuove, nel rispetto del più rigoroso indirizzo naturalistico. E gli specialisti ci dovranno dire quali momenti di storia politica ed economica potevano essere all'origine di questo interesse per un "contenuto" sin qui neppure intravisto, e ben presto di nuovo trascurato".

Dopo Nicola Spinosa, che, accogliendo una tesi di J. Spike, è tornato sull'identificazione di Bartolomeo Passante, Giuseppe De Vito ha creduto, ma la proposta non è del tutto inedita, di identificare il Maestro con Giovanni Do, pittore spagnolo dalla incertissima produzione artistica. L'analisi dello Studioso, a mio giudizio interessante e per molti aspetti convincente, ha il merito di aver fatto il punto sullo stato degli studi e, mentre si spinge più innanzi, raggruppa opere che non sempre possono riferirsi ad una sola personalità che potrebbe comunque diventare anche Giovanni Do o Bartolomeo Passante, o Bassante, o altri ancora, quando si potrà disporre di una documentazione certa.Ma sono ancora altri gli interrogativi che girano intorno al nostro Maestro, del quale, non risultando convincente la nazionalità iberica, vorremmo conoscere il luogo di origine ed anche in quali termini avvenne la sua formazione riberesca che potrebbe essere alla base di quella motivazione che ha indirizzato Giuseppe De Vito verso l'identificazione dello spagnolo Giovanni Do, al quale Raffaello Causa, come lo stesso De Vito ha rivelato, aveva già pensato.

Maestro dell'Annuncio ai pastori

Annuncio ai pastori

Collezione privata

Altre domande scaturiscono dal modo in cui il Maestro presenta la vita errante dei pastori, che io credo siano quelli delle regioni interne del Viceregno, tra il Sannio e l'Irpinia, la Calabria o la Puglia, un mondo dove la fatica fisica è la sola protagonista di un'esistenza vissuta alla totale dipendenza dal gregge. Nel parlare di "modelli" per questi pastori, si è giustamente accomunata l'arte di questo Maestro a quella del Merisi, che dipingeva solamente avendo dinanzi il modello. In verità credo che il nostro Maestro vada oltre il richiamo al modello, e non perché non abbia potuto trovare persone che potessero fare da modelli ai suoi pastori, ma perché, a ben guardare queste su composizioni, esse consentono di credere e di formulare l'ipotesi che l'artista avesse una conoscenza diretta e personale della vita dei pastori. Conosceva le loro abitudini, i panni che indossavano, del loro modo di affrontare il riposo notturno in un luogo riparato per loro stessi e per il gregge, forse per una partecipazione diretta e vissuta nell'ambiente oggetto delle sue creazioni.
Non si cuole supporre che si tratti di un pastore-pittore, ipotesi che solo una sorta di pregiudizio di classe impedisce di sostenere, ma che nella resa vera ed oggettiva delle disumane condizioni di vita dei pastori nessun aspetto risulta "costituito" per sentito dire o conoscenza indiretta. Il Maestro ha tagliato e riprodotto brani di una verità vissuta. I pastori non sono addormentati perché così richiesto dalla prassi iconografica del racconto evangelico e per consentire all'Angelo di svegliarli nel cuore della notte; essi, come nella verità della vita, dormono stremati dalla fatica, ma altri vegliano perché il gregge non può essere lasciato abbandonato a se stesso. Infatti, come mostrano le tele del Maestro con questa tematica centrale, c'è chi dorme e chi veglia; si pensi all'opera di Capodimonte, a quella di Birmingham, ma anche quella di Madrid o di Brooklyn, o a quelle di tante
collezioni private, dove un pastore è così profondamente addormentato che non si accorge della presenza degli angeli e del loro annuncio. Ma anche sulla identificazione di questi bambini come angeli ci sarebbe da dire che nulla, se non quelle due piccole ali, potrebbe indicarli come presenze divine: il loro volo è pesante come i loro corpi veri, realtà, insomma, e non celesti creature che solcano leggere un cielo illuminato dalla luce che promana dai loro corpi.
A parte questa indispensabile presenza, perché le opere possono prendere l'intitolazione di "Annuncio ai pastori", le scene, nella loro disadorna verità, non offrono nessun altro elemento di spiritualità religiosa o di allusione sacra.I pastori, più che i "mandriani evocati con sentimento biblico", di cui parla Bologna, sono più simili a quelli della lirica leopardiana e lontani dallo stereotipo tutto fede ed amore creato dalla tradizione religiosa. I pastori del nostro Maestro dopo una giornata uguale a mille altre già vissute , e a tante altre ancora da vivere, e che li ha impegnati nel condurre il gregge al pascolo, all'abbeverata, alla mungitura, all'allattamento dei nuovi nati, alla caseificazione del latte, lontani dalle loro case, dai loro familiari, stremati anche dal caldo estivo e dai rigori invernali, dal vento, dalla pioggia, senza i più elementari conforti igienici, al riparo di una grotta o in qualche piazzola sulle montagne, si preparano qualcosa di caldo o ricorrono al pane raffermo o al cacio, a qualche frutta di stagione o secca, uniche risorse alimentari certe del pastore, insieme con un buon bicchiere di vino, come lascia intendere la presenza della bella terraglia lasciata a terra accanto alla brace che si va spegnendo del dipinto di collezione privata.

Altra domanda relativa alla committenza: chi erano le persone che ambivano a questi teloni così violenti e drammatici? In quali stanze o saloni o gallerie, si esponevano queste figure dai panni laceri e rattoppati, dai piedi sporchi, e il gregge dal vello lordo di stallatico?
Non è escluso che il Maestro dipingesse il tema dell'Annuncio nella sua bottega per una scelta motivata da ragioni personali e che poi vendesse le sue opere ad un mercato desideroso di venirne in possesso per una sorta di esorcizzazione che anima alcune scelte. Si pensi al Cardinale del Mocche ed al Segretario di Stato Vaticano, il Cardinale Scipione Borghese, religiosi di razza che aspiravano alle opere del Caravaggio,
certamente non conformi a quel decoro richiesto dalla religione di Stato.

Maestro dell'Annuncio ai pastori

Annuncio ai pastori (particolare)

Collezione privata

 

Anche questo è un modo per spiegare l'interesse del mercato per il Maestro ed i soggetti delle sue opere, dove i protagonisti erano le classi subalterne, rappresentati con modi nei quali noi, oggi, possiamo vedere adombrata una forma di denuncia sociale.
Lo stesso, sulla scorta della grande lezione lasciata dal Merisi a Napoli, soprattutto nelle Sette Opere di Misericordia per il Pio Monte, accadeva in molte tele di Falcone e di Guarino, e nelle raffigurazioni delle eruzioni del Vesuvio del 1631.